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Inflazione

L’inflazione è il continuo aumento del livello generale dei prezzi, determinato da un incremento abnorme della massa monetaria in circolazione.

Le enormi somme di denaro che gli Stati e le Banche Centrali hanno immesso nell’economia non mancheranno di spingere i prezzi al consumo in forte rialzo. Negli Stati Uniti il debito Federale è passato da seimila miliardi nel 2006 a undicimila miliardi a fine novembre 2009 e supererà tredicimila miliardi a fine 2010. Alla montagna di titoli statunitensi, vanno aggiunti quelli dell’Unione Europea: Gran Bretagna, Francia, Italia, Spagna, ecc.

Tredici Stati dell’Unione Europea sono in una situazione di grande rischio. Accanto ai nuovi membri della Comunità ( Cechia , Cipro, Lettonia, Lituania, Malta, Romania, Slovacchia e Slovenia ) troviamo pure Gran Bretagna, Grecia, Irlanda, Olanda e Spagna.

Nel 2010 arriveranno sui mercati mondiali titoli pubblici per duemilatrecento miliardi di dollari. Negli Stati Uniti e in Gran Bretagna la FED e la Banca d’Inghilterra sono pronte ad acquistare i titoli che il mercato non assorbirà. La BCE non può acquistare titoli pubblici per il proprio portafoglio, ma potrebbe aiutare le banche a farlo. Per ritornare ad una situazione normale e combattere l’inflazione i Governi hanno tre possibilità: a) Ridurre drasticamente le spese. b) Aumentare le imposte. c) Lasciar correre l’inflazione, ossia alleggerire il debito pubblico per mezzo dell’inflazione. La riduzione delle spese statali non è un compito facile per i Governi. Impossibile toccare le spese sociali per non colpire le classi più deboli. Anche gli altri settori dell’economia non si lasciano colpire facilmente e in generale sono ben rappresentati nei Parlamenti, dove possono limitare gli spazi dei Governi, impedendo loro di applicare in modo efficiente i risparmi necessari. L’aumento delle imposte è da un lato un’operazione impopolare per i Governi che devono proporla e rischia nello stesso tempo di frenare la ripresa economica. La via più facile è quella di lasciar correre l’inflazione. Con questo sistema si svalutano i risparmi e il reddito dal lavoro, ma si aiuta lo Stato a far diminuire la montagna di debiti accumulata. Il problema sta nel fatto che se la spirale inflazionistica si mette in moto diventa difficile controllarla. L’esempio classico di questo sistema è dato proprio dagli Stati Uniti. Tra il 1946 e il 1955 il Debito Pubblico Federale è stato dimezzato grazie a un’inflazione media del quattro percento circa. Se si osserva bene il deficit statunitense con la politica del tasso zero e il finanziamento del deficit statale da parte della Banca Centrale si ha l’impressione che ai più alti livelli si pensa: “ meglio l’inflazione che la deflazione! “. Se il tasso d’inflazione dovesse superare il quattro percento ( cosa non improbabile nei prossimi anni ) si inizierà a vendere le obbligazioni statali, considerate ancora oggi da molti quale spiaggia sicura ( lender of last trust ) e i tassi d’interesse aumenteranno rapidamente. Le obbligazioni statali potrebbero già nel corso di quest’anno diventare la “patata bollente”. Il rischio è elevato e il rendimento molto modesto. Sono invece un po’ meno a rischio le obbligazioni di primarie società con bilanci solidi. Presto o tardi - forse più presto che tardi - il denaro ritroverà e in parte ha già ritrovato la via del mercato azionario, dei mercati delle materie prime e dei metalli preziosi, come pure del mercato immobiliare. L ’Australia, la cui economia è oggi tra le pochissime eccezioni al mondo a non avere problemi, ha aumentato nel corso di tre mesi - l’ultima volta a inizio dicembre 2009 - il tasso di sconto di tre volte 25 punti base al 3,75%. Anche la Cina, giovedi scorso ( 7 gennaio 2010 ) ha per la prima volta dalla metà di agosto 2009, aumentato il tasso d’interesse per le obbligazioni statali con scadenza trimestrale di 4,04 punti base all’1,4 %. E’ inoltre imminente il ritiro da parte della Banca Centrale cinese ( ancora prima di fine gennaio ) di 137 miliardi di Yuan ( circa 14 miliardi di euro ) dal mercato monetario. Potranno Stati Uniti e Unione Europea seguire l’esempio di Australia e Cina? Difficilmente, poiché con un numero di disoccupati altissimo non si può pretendere di frenare un ancor timido rilancio dell’economia. I mercati azionari già nel 2009, tra alti e bassi, hanno guadagnato terreno e anche una lenta ripresa dell’economia ridarà pian piano fiducia agli investitori. Aumento dei tassi d’interesse, mancanza di fiducia nei titoli statali; lenta, ma costante ripresa economica e un’enorme massa di liquidità che le banche centrali hanno immesso sui mercati, rappresentano un potenziale enorme per il mercato azionario. Con una scelta oculata dei settori e dei titoli - dimenticando la speculazione galoppante - e dando la priorità a società non indebitate o con importanti disponibilità di cassa - spesso dimenticate - si potranno raggiungere risultati positivi e insperati.

11 gennaio 2010

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